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D.

Studente di Ingegneria Informatica - Univesità di Modena e Reggio Emilia

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Thinking.

Il grattacielo

Il grattacielo

by Max Horkheimer · 19 Gennaio 2020

Vista in sezione, la struttura sociale del presente dovrebbe configurarsi all’incirca così:
Su in alto i grandi magnati dei trust dei diversi gruppi di potere capitalistici che però sono in lotta tra loro; sotto di essi i magnati minori, i grandi proprietari terrieri e tutto lo staff dei collaboratori importanti; sotto di essi – suddivise in singoli strati – le masse dei liberi professionisti e degli impiegati di grado inferiore, della manovalanza politica, dei militari e dei professori, degli ingegneri e dei capufficio fino alle dattilografe; ancora più giù i residui delle piccole esistenze autonome, gli artigiani, i bottegai, i contadini e tutti gli altri, poi il proletariato, dagli strati operai qualificati meglio retribuiti, passando attraverso i manovali fino ad arrivare ai disoccupati cronici, ai poveri, ai vecchi e ai malati.

Solo sotto tutto questo comincia quello che è il vero e proprio fondamento della miseria, sul quale si innalza questa costruzione, giacché finora abbiamo parlato solo dei paesi capitalistici sviluppati, e tutta la loro vita è sorretta dall’orribile apparato di sfruttamento che funziona nei territori semi-coloniali e coloniali, ossia in quella che è di gran lunga la parte più grande del mondo. Larghi territori dei Balcani sono una camera di tortura, in India, in Cina, in Africa la miseria di massa supera ogni immaginazione. Sotto gli ambiti in cui crepano a milioni i coolie della terra, andrebbe poi rappresentata l’indescrivibile, inimmaginabile sofferenza degli animali, l’inferno animale nella società  umana, il sudore, il sangue, la disperazione degli animali…

Questo edificio, la cui cantina è un mattatoio e il cui tetto è una cattedrale, dalle finestre dei piani superiori assicura effettivamente una bella vista sul cielo stellato.

Max Horkheimer, Crepuscolo, 1933
il grattacielo di max horkheimer

Category: Thinking.

Tornare a casa

Tornare a casa

by Danilo Ferrara · 31 Maggio 2019

Quale miglior viaggio di un ritorno a casa?

Okay, è solo un ritorno di qualche giorno. Ma quando stai lontano per mesi è qualcosa di più. È l’emozione intima di ritrovarsi. Ritrovare la farina non industriale di cui siamo fatti. Risincronizzare i ricordi.

Il viaggio

Sono felice. Inizio a sentire un richiamo dolce.
Controllo un po’ il meteo per i miei prossimi giorni e poi, quasi sempre troppo poi, chiudo la valigia.

Con i Veivecura nelle orecchie inizia il viaggio. Bus, treni e aerei: ore di lucide riflessioni.
Ed è ciò di cui vi voglio parlare in questo articolo, dell’introspettivo viaggio parallelo che segna il passo dei propri cambiamenti ma anche il confronto con gli altri sguardi.

Una delle prime immagini che mi tornano in mente è l’analogia dell’aeroporto: un lungo e silenzioso (con le cuffie) sentiero a zig zag che siamo obbligati a percorrere prima dell’imbarco, prima di decollare, di sentirci realizzati.
Ti avvicini … e ti allontani … ti avvicini e ti allontani di nuovo.
Un percorso noioso, ma pensato, progettato per evitare il disordine, o per dirimerlo.
In un solo caso non ti peserà la lunghezza del percorso: nascere con il Fast Track, solide basi di diversa natura che ti cullano sin dalla nascita.

Ancora qualche lungo passo con Stormi remixato da Dusty Kid e ti ritrovi di fronte al gate.
Eccoli, attorno a te, i terroni, fortemente emotivi verso gli atterraggi riusciti.

La tua casa

Una cinquantina di chilometri che tagliano lo splendido paesaggio ed entri in città. Il destreggiarsi tra chiese e stradine ti era tanto mancato. Ora è tempo di pranzare, non importa che siano le quattro o le cinque del pomeriggio, mia nonna mi aspettava da tempo. Quattro mura di quell’antico che sazia e riscalda così come la zuppa di pesce.
Poi salgo al piano superiore ed entro nella mia calorosa fredda casa: la mia stanza, la mia vita, un po’ di foto e tanto affetto. Aggiungo nella scatola dei ricordi alcune novità, qualche gadget delle ultime esperienze e sono pronto per la passeggiata in motorino.

Il mare

Lo Scarabeo nero senza paravento è un must per i ragazzi della mia città. È una di quelle mode nate dal basso senza un apparente motivo. Scendo a mare respirando la mia aria e il mio vento: una sensazione di libertà e malinconia verso un territorio che sembra immutabile. I curvoni in cemento armato, i guard rail molto malandati, le buche rattoppate male, l’erba secca ai margini: è quella noncuranza di cui in fondo riconosci un’identità.
E si inizia ad intravedere il mare, le ultime curve, il lungo rettilineo in un tenebroso cemento e il blu immenso. Dolce sabbia e pace interiore.

Gli amici

I picciotti con cui hai condiviso i momenti più belli degli ultimi anni. Tra mangiate e uscite è facile tornare ai vecchi tempi. Tanta allegria ed entusiasmo, ma anche un raccontarsi sempre parziale. Non è facile spiegare a parole la vita distante che si vive, cosa si studia e perché. Alcuni si laureano nelle certezze di una vita forse già scritta, altri nelle incertezze di una vita da vivere.
C’è ben poco da essere giudicanti.
Anche io vivo e sono cresciuto lontano dai contesti altrui.
Inoltre è la nostra società che è impregnata di ansia, previo l’imminente arrivo degli epocali cambiamenti.

Il sesso degli angeli

L’acqua calda. Location ideale per scatenare attese discussioni sui massimi sistemi (quelle che in Veneto avevo trovato estirpate da un unico pensiero che seppur vincente, sembrava già puzzare di vecchio), lo scambio di opinioni, la consapevolezza di non essere sufficientemente preparati e coscienti del presente. Tutte le strade portano a Roma, o comunque alla politica (da notare la “p” in minuscolo), la madre della società ma anche una passione condivisa.

Poi ci si discosta tanto soprattutto quando si parla di lavoro, una tematica cara per chi è nella massima fase zen del proprio percorso di vita. Tornano quegli schemi immaginari o quei rigidi percorsi che avevo visto in aeroporto e che sembrano lasciare alle persone poche possibilità di scelta invece che infinite da creare. Questa creazione ha un prezzo, è vero.

Insomma, staccare il nastro elastico dal paletto di delimitazione e scegliere un percorso originale mosso dai propri interessi, secondo alcuni, è davvero impossibile, un’illusione nata in America e venduta su Instagram.

Davvero la mancanza di intraprendenza è imputabile solo al contesto in cui si è nati e soprattutto cresciuti, favorevole o meno? Oppure, come altri sostengono, in una società potenzialmente super informata tutto dipende dalla nostra capacità e volontà, e fascistamente parlando, dal nostro essere top performer o low performer? Entrambe le variabili giocano per vincere.

Tutto ciò non può che stimolarmi in riflessioni, e per farlo l’ipermetropia della vista da fuori può aiutare.

Category: Thinking.

Il bisogno di comunicare

Il bisogno di comunicare

by Danilo Ferrara · 15 Gennaio 2019

La comunicazione è un bisogno primario dell’uomo.

Aprirci con gli altri, condividere i pensieri, i momenti, comunicare ciò che sentiamo: sono tutte attività che caratterizzano le nostre giornate.

Perché lo facciamo? Perché dedichiamo molta della nostra concentrazione a questa attività?

Di seguito alcuni spunti di riflessione per provare a farsi un’idea personale sull’argomento.

Esistere

Noi esseri umani abbiamo un impulso innato di condividere le nostre idee, il desiderio di sapere che veniamo ascoltati fa parte del nostro bisogno di comunità; per questo continuiamo a mandare segnali e segni, per questo li cerchiamo negli altri. Siamo sempre in attesa di messaggi sperando di realizzare una connessione. E se non abbiamo ricevuto un messaggio non vuol dire che non sia stato inviato, a volte significa solo che non ascoltiamo abbastanza.

Jake – Touch (Ep. 4)
esistere

Tra le origini più profonde del bisogno di comunicare vi è il desiderio di sentirsi vivi attraverso fatti che testimoniano la nostra esistenza. Il desiderio di lasciare traccia, di fare la differenza, di mettere a disposizione qualcosa di personale (morale, mentale, materiale) testimonia il nostro passaggio.

Di conseguenza altissimo valore assume la controparte: all’altro affido la responsabilità di riconoscere il mio valore. Via così con le aspettative nei confronti degli altri e l’orgoglio della gratitudine. Siamo esseri emozionali, viviamo di relazioni e la nostra esistenza è caratterizzata anche da ciò che gli altri, o determinate persone, pensano di noi.

Condividere

La felicità è reale solo quando condivisa.

Lev Tolstoj – La felicità familiare

Questa celebre frase, riportata da Alexander Supertramp in Into The Wild, riassume l’importanza di condividere con gli altri i nostri momenti migliori, ma aggiungerei anche quelli peggiori. Questo non significa che non possiamo stare da soli, ma che dopo spazi di solitudine gran parte di noi necessita di condividere quei momenti con gli altri.

condividere

A questo punto il pensiero comune va al ruolo che i social assumono nella società. La loro forza consiste proprio nell’avallare questo bisogno umano. Basta scorrere il feed per trovarsi dinanzi ad un enorme raccolta di momenti felici, pensieri, viaggi, attività e tanta spazzatura. Ad avere la meglio su tutti sono senz’altro i momenti felici e quindi la domanda sorge spontanea:

Posto (contenuti felici) dunque sono!?

Simona De Simone – Alqamah.it

Proprio come sostiene la psicologa Simona De Simone, la celebre affermazione “Perché scrivi solo cose tristi?” – “Perché quando sono felice esco”, di Luigi Tenco, sembra essersi capovolta, e viene da chiedersi se dietro alcuni di questi post non ci sia realmente un chiaro intento di provocare gelosia ed invidia in chi guarda.

basta facebook menamose

Dunque quello che vediamo è solo una parziale verità perchè rappresenta solo uno scorcio della vita di ciascuno. Condividere, inoltre, ha una sempre maggiore influenza sulla nostra vita reale, perché meccanismi come il conteggio dei like fomentano non poco la nostra felicità/infelicità. Un corto di qualche anno fa illustra come un avventore dei social sia profondamente colpito dalla gioia che legge nei profili altrui e come esso stesso sfrutti momenti di dubbia allegria per autoconvincersi, e convincere gli altri, che tutto stia andando per il meglio.


Essere

Dati scientifici mostrano che l’isolamento sociale ha gravi ripercussioni sull’umore e sulla salute. La solitudine aumenta il rischio di malattie cardiovascolari, pressione sanguigna, livello di colesterolo e di cortisolo (il cosiddetto ormone da stress), oltre che il rischio di depressione.

In parole povere l’uomo esce da una sua condizione naturale, e il suo corpo ne risente.

Qui nasce una delle tante contraddizioni dell’essere umano, da una parte è un animale da branco, fa parte di una società, di una famiglia, di un ambiente di lavoro, dall’altra a ognuno di noi capita di sentirsi solo.

solitudine

La necessità di condividere viene quindi spinta dal desiderio di sentire qualcuno, avere qualcuno in grado di poterti ascoltare. E la solitudine a volte è anche una paura che spinge gli uomini ad essere più malleabili in situazioni di insicurezza. Per molti l’essere soli, quindi, non è meglio dell’essere male accompagnati.

Le società occidentali hanno dimenticato la potenza della vita contemplativa. Fermiamo la follia della ricerca costante del lavoro di squadra. Andate nel deserto per avere intuizioni proprie.

Susan Cain – author of Quiet: The Power of Introverts in a World That Can’t Stop Talking

Ma solitudine non è affatto sinonimo di sofferenza, anzi. Pare che la solitudine sia alla base della creatività, dell’innovazione e di una buona leadership. Le persone sono esseri sociali, ma dopo aver trascorso la giornata circondate da persone, da una riunione all’altra, attente ai social network e agli smartphone, iperattive, la solitudine fornisce uno spazio per il riposo ristoratore.

Category: Thinking.

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