La comunicazione è un bisogno primario dell’uomo.
Aprirci con gli altri, condividere i pensieri, i momenti, comunicare ciò che sentiamo: sono tutte attività che caratterizzano le nostre giornate.
Perché lo facciamo? Perché dedichiamo molta della nostra concentrazione a questa attività?
Di seguito alcuni spunti di riflessione per provare a farsi un’idea personale sull’argomento.
Esistere
Noi esseri umani abbiamo un impulso innato di condividere le nostre idee, il desiderio di sapere che veniamo ascoltati fa parte del nostro bisogno di comunità; per questo continuiamo a mandare segnali e segni, per questo li cerchiamo negli altri. Siamo sempre in attesa di messaggi sperando di realizzare una connessione. E se non abbiamo ricevuto un messaggio non vuol dire che non sia stato inviato, a volte significa solo che non ascoltiamo abbastanza.
Jake – Touch (Ep. 4)
Tra le origini più profonde del bisogno di comunicare vi è il desiderio di sentirsi vivi attraverso fatti che testimoniano la nostra esistenza. Il desiderio di lasciare traccia, di fare la differenza, di mettere a disposizione qualcosa di personale (morale, mentale, materiale) testimonia il nostro passaggio.
Di conseguenza altissimo valore assume la controparte: all’altro affido la responsabilità di riconoscere il mio valore. Via così con le aspettative nei confronti degli altri e l’orgoglio della gratitudine. Siamo esseri emozionali, viviamo di relazioni e la nostra esistenza è caratterizzata anche da ciò che gli altri, o determinate persone, pensano di noi.
Condividere
La felicità è reale solo quando condivisa.
Lev Tolstoj – La felicità familiare
Questa celebre frase, riportata da Alexander Supertramp in Into The Wild, riassume l’importanza di condividere con gli altri i nostri momenti migliori, ma aggiungerei anche quelli peggiori. Questo non significa che non possiamo stare da soli, ma che dopo spazi di solitudine gran parte di noi necessita di condividere quei momenti con gli altri.
A questo punto il pensiero comune va al ruolo che i social assumono nella società. La loro forza consiste proprio nell’avallare questo bisogno umano. Basta scorrere il feed per trovarsi dinanzi ad un enorme raccolta di momenti felici, pensieri, viaggi, attività e tanta spazzatura. Ad avere la meglio su tutti sono senz’altro i momenti felici e quindi la domanda sorge spontanea:
Posto (contenuti felici) dunque sono!?
Simona De Simone – Alqamah.it
Proprio come sostiene la psicologa Simona De Simone, la celebre affermazione “Perché scrivi solo cose tristi?” – “Perché quando sono felice esco”, di Luigi Tenco, sembra essersi capovolta, e viene da chiedersi se dietro alcuni di questi post non ci sia realmente un chiaro intento di provocare gelosia ed invidia in chi guarda.
Dunque quello che vediamo è solo una parziale verità perchè rappresenta solo uno scorcio della vita di ciascuno. Condividere, inoltre, ha una sempre maggiore influenza sulla nostra vita reale, perché meccanismi come il conteggio dei like fomentano non poco la nostra felicità/infelicità. Un corto di qualche anno fa illustra come un avventore dei social sia profondamente colpito dalla gioia che legge nei profili altrui e come esso stesso sfrutti momenti di dubbia allegria per autoconvincersi, e convincere gli altri, che tutto stia andando per il meglio.
Essere
Dati scientifici mostrano che l’isolamento sociale ha gravi ripercussioni sull’umore e sulla salute. La solitudine aumenta il rischio di malattie cardiovascolari, pressione sanguigna, livello di colesterolo e di cortisolo (il cosiddetto ormone da stress), oltre che il rischio di depressione.
In parole povere l’uomo esce da una sua condizione naturale, e il suo corpo ne risente.
Qui nasce una delle tante contraddizioni dell’essere umano, da una parte è un animale da branco, fa parte di una società, di una famiglia, di un ambiente di lavoro, dall’altra a ognuno di noi capita di sentirsi solo.
La necessità di condividere viene quindi spinta dal desiderio di sentire qualcuno, avere qualcuno in grado di poterti ascoltare. E la solitudine a volte è anche una paura che spinge gli uomini ad essere più malleabili in situazioni di insicurezza. Per molti l’essere soli, quindi, non è meglio dell’essere male accompagnati.
Le società occidentali hanno dimenticato la potenza della vita contemplativa. Fermiamo la follia della ricerca costante del lavoro di squadra. Andate nel deserto per avere intuizioni proprie.
Susan Cain – author of Quiet: The Power of Introverts in a World That Can’t Stop Talking
Ma solitudine non è affatto sinonimo di sofferenza, anzi. Pare che la solitudine sia alla base della creatività, dell’innovazione e di una buona leadership. Le persone sono esseri sociali, ma dopo aver trascorso la giornata circondate da persone, da una riunione all’altra, attente ai social network e agli smartphone, iperattive, la solitudine fornisce uno spazio per il riposo ristoratore.